Il “Wall Street Journal” (1) critica ferocemente l’atteggiamento ondivago dell’Europa verso la Russia, quale causa che rende impossibile una vera strategia di contenimento, dato che agli europei sembra non interessare poi molto dipendere dalla Russia in campo energetico per oltre il 30% delle loro necessità. Secondo Hillary Clinton, Putin intende riscrivere la Storia e rendere vassalli, anche attraverso azioni di corruzione dei governi legittimi, i paesi dell’ex area sovietica: cosa che rende necessario l’intervento americano, in primo luogo verso Kiev e poi verso gli altri, in termini di assistenza tecnica e finanziaria ferma restando l’adozione di sanzioni (2). Il magazine “New Republic” contesta fieramente la tesi, peraltro avanzata da diversi centri studi americani, per cui la Russia sta semplicemente reagendo all’atteggiamento invasivo ed arrogante che gli USA da 20 anni tengono sull’intera area (3).
Queste affermazioni contengono il nucleo vero dello scontro in atto che il Council of Foreign Relations (CFR) ha ben presente, esplicitandolo in modo lucido e lineare (4). Dal 2007 al 2012 la produzione di shale gas negli USA si è incrementata del 50% ogni anno, passando dal 5% al 39% del totale. Questo significa che gli USA da grandi consumatori di idrocarburi diverranno grandi esportatori di energia, in particolare di gas, saturando l’attuale livello produttivo del Qatar. Anche nel petrolio, gli USA fra 2012 e 2020 produrranno più di 3 mln di barili al giorno. Questo avrà dei riflessi enormi, specialmente nei confronti della Russia la quale, pur potendo ancora sfruttare il gap infrastrutturale americano, ha costi molto alti di estrazione e produzione che le permettono di incrementare la propria economia di soli 1,8 punti percentuali dovendo perciò procedere con tagli pesanti – già oggi – al proprio budget. Secondo gli analisti americani, il riposizionamento statunitense quale paese esportatore di energia comporterà una diminuzione di almeno il 20-25% del prezzo del petrolio, ciò che metterà in crisi paesi come la Russia (oltre a Messico e Venezuela) Questa situazione al contrario porterebbe ad una stabilizzazione dei rapporti fra USA e Cina, grande consumatore di energia ma inevitabilmente farebbe tramontare ogni ideologia eurasista della Russia, ridotta quindi ad un grande territorio di transito senza alcuna proiezione imperiale ad appannaggio solo degli USA. Da qui l’idea americana di sostenere Polonia ed Ucraina nel migliore sfruttamento delle loro riserve, dando in contropartita assistenza tecnico militare per difendere i nuovi canali energetici.
Gli USA vogliono appunto divaricare ed ampliare queste difficoltà. Secondo l’”Economist” (5) l’intervento in Ucraina era stato concepito addirittura nel 2008, all’epoca della guerra con la Georgia. La ragione di questa mossa risiede nel distogliere l’attenzione della popolazione russa dai problemi che affliggono un paese governato da cleptocrati, che fondano la loro ricchezza su gas e petrolio evitando di intromettersi in questioni politiche lasciate al monopolio del Cremlino. In questa chiave preventiva- per evitare quindi che alla lunga scoppi una piazza Maidan interna alla Russia – vanno letti i provvedimenti restrittivi della libertà di stampa con epurazione di giornalisti, limitazioni nell’suo di Internet e ripresa in grande stile di campagne di comunicazione in stile sovietico, martellanti contro i nemici della Russia: il rischio può essere che i capitali stranieri vengano indotti ad andar via dalla Russia.
A dirla tutta, gli analisti USA non si soffermano molto – al di là delle roboanti dichiarazioni rilasciate alla stampa dalla Casa Bianca – sulla Crimea che economicamente si rivelerà un peso per la Russia e tutto sommato un alleggerimento per il governo di Kiev (6) che in un colpo solo si libererà di una regione che costa moltissimo in termini di sussidi agricoli, di sostegno al turismo e per l’ordine pubblico (specie per il controllo della minoranza tatara di tendenza islamica).
Sono altri i fattori di preoccupazione per l’”impero” nordamericano.
Il primo è costituito dalla situazione interna nell’Ucraina che non ha al momento nemmeno i fondi per garantire i servizi essenziali, senza un intervento di UE e del FMI: inoltre, è tutto da dimostrare che il paese sia in grado di esprimere una classe dirigente fuori da quella banda di cleptocrati ormai troppo compromessi anche per gli stomaci resistenti di Washington (6).
Il secondo è capire quali possano essere le mosse della Russia. Se la Russia dovesse perdere Ucraina e Bielorussia, sarebbe privata della sua profondità strategica ed è questa la ragione per cui il Cremlino vede malissimo gli annunci di libertà e democrazia da parte degli USA a sostegno del governo provvisorio di Kiev. La Russia non può permettersi di rimanere sulla difensiva, e questo spiega la volontà di apparire quale forza alternativa nel Medio Oriente e, in generale, forte anche nei confronti della vicina Europa e dei suoi partner: monolitica e senza cedimenti. Ci sono dunque varie opzioni sul tavolo. La prima, dopo l’annessione alla Crimea si determina una situazione di stallo apparente ma che in realtà indebolisce i filo russi nell’interno del paese; la seconda potrebbe prevedere certo l’invasione ma comporterebbe rischi altissimi anche di mantenimento dell’ordine e del controllo in un paese così vasto.
La terza prevede una sorta di progressivo accerchiamento con l’uso cinico delle minoranze russe da difendere: in realtà parte di queste opzioni, esclusa l’invasione diretta dell’Ucraina, verranno alternate adoperando anche il bastone energetico. Occorrerà però considerare due variabili, la prima quella tedesca se di vera opposizione a Mosca o di appeasement col rischio di perdere credibilità verso Polonia e paesi baltici; la seconda sia pure in un’ottica di soft containment sostenere l’Est Europa in termini economici e tecnologici, e a tal fine, il gruppo di Visegrad (Polonia, Cechia, Slovacchia e Ungheria) potrebbe divenire il nucleo attorno al quale costruire un blocco antirusso(7). Il terzo, non meno problematico dei precedenti, riguarda l’aspetto militare. Nell’ interessante analisi condotta sul Washington Post da David Ignatius(8) il dispiegamento delle forze speciali nel territorio ucraino ha dimostrato un miglioramento qualitativo dell’esercito russo sotto il profilo tattico, disciplinare ed organizzativo. La domanda che ci si pone retoricamente è se tale schema possa essere replicato anche in altri contesti territoriali ed, eventualmente, con quali varianti (ad es. nella parte sudorientale del paese o in Transnistria): in realtà, si lascia in sospeso, con preoccupazione, il quesito è se anche le truppe NATO abbiano lo stesso livello di professionalità ed efficienza qualora impiegate sul terreno. Infine, lo stesso atteggiamento della UE con la sua fallimentare politica di partenariato verso Est. Essa è stata a lungo incentrata nel consentire l’accesso ad un mercato di oltre 450 milioni di consumatori, in cambio dell’adozione del framework legislativo europeo basato sul libertà, democrazia, riforme istituzionali funzionali ad un’economia di mercato. Il fallimento di questo approccio tecnoburocratico si è toccato allorché Putin ha forzato la mano a Yanukovich forte della sua posizione creditoria e di fornitore di gas. In sintesi, l’UE non dava una prospettiva chiara (adesione piena all’Unione in qualità di membro effettivo), mentre senza alcuna verifica includeva al suo interno alcuni paesi (dall’area baltica a quella balcanica) che mancavano di ogni requisito minimo anche per lo stesso partenariato orientale: ciò è stato letto, ovviamente e giustamente, dalla Russia come un tentativo della NATO ad introdurre basi missilistiche sempre più a ridosso della Russia.
Per contro(9) vi è chi sostiene che sotto il profilo economico l’Occidente possa trovarsi in seria difficoltà a contrastare l’ascesa della figura di Putin, considerando che, ancora adesso, i sostegni economico finanziari al governo ucraino ammontano solo ad un terzo di quanto realmente servirebbe per una solida ripresa
La domanda è come possa evolvere la situazione una volta inquadrata nei suoi aspetti geo- economici e geopolitici. Nessuno dei due contendenti può rimanere fermo : gli USA vorranno ovviamente sfruttare la loro posizione di forza sotto il profilo energetico, ma questo richiederà un lasso di tempo di circa 6-7 anni; mentre la Russia, al di là delle prospettive eurasiste (10) – secondo due analisti russi, Liliana Shevtsova e Andrei Illarionov, Putin sarebbe prigioniero di una visione che vedrebbe in lui il provvidenziale artefice della liberazione dell’Europa dalla presenza americana, da Lisbona a Vladivostok secondo le teorie di Aleksandr Dugin- rifiuterà di concepire sé stessa come un semplice territorio di transito, privato della sua identità storico culturale e finalizzato a stabilizzare i rapporti sino americani in materia energetica. Sarà quindi un’estenuante partita a scacchi di cui osserveremo attentamente le mosse.
NOTE
(1) http://online.wsj.com/news/articles/SB10001424052702304747404579445000174136952?mg=reno64-wsj&url=http%3A%2F%2Fonline.wsj.com%2Farticle%2FSB1000142405
(2) http://www.pravda.ru/news/world/19-03-2014/1200310-agressija-0/
(3) http://www.newrepublic.com/article/117057/pundits-foolishly-blame-america-putins-aggression-ukraine
(4) “America’s Energy Edge – The Geopolitical Consequences of the Shale Revolution “(FA –March/April 2014 di Blackwill & O’Sullivan del Council of Foreign Relations)
(5) http://www.economist.com/news/europe/21599061-kremlins-belligerence-ukraine-will-ultimately-weaken-russia-home-front
(6) http://www.foreignaffairs.com/articles/141032/taras-kuzio/farewell-crimea?nocache=1
(7) http://www.stratfor.com/weekly/russia-examines-its-options-responding-ukraine?utm_source=freelist-f&utm_medium=email&utm_campaign=20140318&utm_term=Gweekly&utm_content=readmore
(8) http://www.theatlantic.com/international/archive/2014/03/america-is-too-broke-to-rescue-ukraine/284463/
(9) http://www.theatlantic.com/international/archive/2014/03/america-is-too-broke-to-rescue-ukraine/284463/
10) http://www.foreignaffairs.com/articles/141039/alexander-j-motyl/is-putin-rational(9)